Non indugiammo ad obbedire. Le armi erano distribuite. Mandato avanti con buona scorta il carro delle munizioni, salutati affettuosamente i nostri ospiti cortesi, lasciammo Torricella alle due pomeridiane del 23 di ottobre, accompagnati da un'acquerugiola fine e continua, che è, come pare, la solita benedizione del cielo per tutti coloro che viaggiano a piedi.
Si scende, tuttavia, si scende di lieto animo, cantando il Fratelli d'Italia al buon popolo di Torricella che ci saluta dai margini della strada maestra, dalle finestre dei casolari, dalle prode dei campi, e poi dal marziale dell'inno di Goffredo Mameli passando al patetico dell'Addio, mia bella, addio, dato prodigamente agli echi della valle solitaria in cui siamo inoltrati, lungo la sponda di un corso d'acqua di cui non ricordo più il nome, e ignoro se sia fiumicello o torrente. La pioggerella è cessata; il sole si affaccia ancora tra le nubi squarciate e le tinge di rosso; la sua tinta favorita delle ore pomeridiane. È il caso, oramai, di ritrovare una guida, per farci evitare Osteria Nuova, che può esser distante un'ora di strada; e già si pensa a cercarla, quando si sente dietro di noi lo scalpitar di un cavallo. Ci voltiamo a guardare e vediamo un cavaliere, mezzo vestito alla buttera, come tutti i cavalieri della regione, con grandi calzoni di pelle di pecora, o di capra, che non saprei dire esattamente, non avendoci fatto grande attenzione, mentre tutta la mia curiosità era attratta dal simpatico aspetto signorile del personaggio: un giovanotto snello, dai baffi biondi, certo De Cupis di Poggio Mirteto, il quale, dopo averci detto il suo nome e la sua qualità di guida garibaldina, ci chiede a che distanza potrà ritrovare Garibaldi, per cui ha un biglietto, e da consegnare al più presto.
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