Si fanno viveri? Ahimè! Montelibretti, interrogato dai nostri ambasciatori, non ha niente per noi, non ha niente per nessuno; lo hanno spogliato, tra la sera innanzi e la notte, altri battaglioni passati di là. Non c'è più una misura di farina per i suoi stessi abitanti, non un sacco di grano. Poveracci! come faranno? moriranno di fame? Eh via, speriamo di no. Anche a Falconara, dove giungiamo intorno alle nove, è la stessa canzone. Falconara, da non confondersi con quella d'Ancona, è la tenuta di un principe romano. Parliamo col ministro, che giura, e spergiura anco lui di non aver nulla di nulla. Neanche una goccia di vino, per bagnarci la bocca? Neanche quella. Ma che è, che non è, mentre noi stiamo parlamentando sul piazzale del castello, arrivano parecchi dei nostri soldati, gridando. Cento passi più in la, vedendo un uscio contro una ripa, e credendo che proteggesse una fontana, hanno sfondato quell'uscio e trovata una cantina, riccamente fornita di botti, donde hanno cominciato a spillare. C'è da sgridarli? No davvero; piuttosto da fare una partaccia al ministro, che allibbisce e balbetta non so che. Ma non è il caso di andare in collera; il disgraziato non franca la spesa. Si va tosto alla cantina, e si mettono i piantoni, perchè tutti bevano, in ordine, con discrezione, con misura, con garbo, senza sprecare la grazia di Dio.
Falconara mi è rimasta in mente per un altro episodio. Mi ero fermato sul piazzale, davanti ad un murello, dalla parte di Roma. La città eterna, essendo noi già tanto al basso nella valle, non si poteva vedere, intercettata com'era la vista da tante colline.
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