La valletta, dalla parte nostra, ha un canneto. Noi, tirati insensibilmente dalla piega del prato, voltiamo verso i Cappuccini, e al passo del canneto ci salutano cinque o sei palle, gnaulando. Vengono senza dubbio dalle finestre alte del palazzo Piombino. Nessuno è ferito, quantunque si offra bersaglio sicuro e continuo, sfilando lenti, come facciamo, per non dar cattiva opinione di noi.
Ci hanno veduti anche i nostri. Di là dal canneto alcuni ufficiali vengono alla nostra volta. Uno di essi è a cavallo: riconosciamo il colonnello Frigésy, un bravo ungherese, venuto a combattere con Garibaldi le battaglie della indipendenza italiana. È con lui il suo giovane aiutante, Pietro del Vecchio. L'uno e l'altro ci accolgono a braccia aperte.
- Giungete a tempo, non dubitate, - ci dicono. - Si è attaccato subito, questa mattina, con le poche forze che si avevano alla mano, aspettando i battaglioni via via d'ogni parte. Ma gli Antiboini resistono fieramente. Hanno anche dell'artiglieria; due cannoni impostati all'ingresso del palazzo Piombino. Bisognerà prenderli, o farli tirar dentro ad ogni costo. Garibaldi è laggiù con Menotti a Santa Maria, proprio sotto le mura. Ha due cannoncini, presi da una villa signorile; ma fanno poco. Ora il fuoco si è un po' allentato; si aspetta di fare dopo il mezzogiorno un colpo decisivo. -
Le notizie date dal Frigésy erano buone per noi. Ricambiammo le nostre, d'essere venuti correndo da Nerola, d'esser digiuni e senza viveri. Il bravo colonnello ordinò tosto al suo aiutante di guidarci verso i Cappuccini, dov'era il suo quartiere, e di farci dare un pane a testa.
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