Mi accolsero a festa, in un casotto di guardiani della strada ferrata; senza viveri al solito, ma con un fiasco di vin bianco, regalato dalla signora Mario, in compenso dell'averle trovato un ricovero per i cavalli della sua carrozza d'ambulanza.
La mattina del 28 eravamo in marcia da capo, e occupavamo la chiesetta di Fornonuovo. Visitando la sagrestia, trovammo paramenti sacerdotali, che riponemmo nei cassettoni, sotto la guardia dei nostri soldati. Ma c'era anche un astuccio di cuoio, con le api barberiniane impresse in oro; dentro l'astuccio un bel calice con la sua patena d'argento, in alcune parti dorato. Vasi sacri; che ne faremo noi?
- Ciccetta! - dice il maggiore al sottotenente Pozzo, un rosso simpatico, milite di tutte le guerre garibaldine, a cui il suo nome di Giovan Battista ha fruttato il vezzeggiativo genovese di Ciccetta. - Prendete questo astuccio, portatelo sulla collina, al Generale. Noi non vogliamo tenere in custodia argenterie. Non si sa mai; un giorno, qualche nemico pettegolo potrebbe gabellarci per ladri. -
Garibaldi aveva posto il suo mobile quartiere a Santa Colomba. Va il nostro Pozzo lassų, e ritorna a sera inoltrata, ancora col suo astuccio tra le mani. Il Generale non ha voluto ritenere il deposito; gli scopritori ne facciano quello che credono. A noi, per la ragione accennata dal maggiore, dava noia tenerlo in custodia. Che custodia, poi, in guerra, con tanti pencoli di smarrirlo, o di lasciarlo sul campo? Una mia idea, venuta lė per lė, piacque molto al maggiore.
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