Sempre più volgendo a sinistra, verso le otto del mattino vediamo il primo segno d'uomini in quella solitudine; una casa sopra un rialzo di terreno e un muro di cinta, che indica una fattoria. È il casale, anzi l'osteria della Cecchina. C'è un oste, ma senza vino, bensì con un pozzo in mezzo al cortile, e perciò con dell'acqua a volontà; un'acqua che egli ci offre, o ci lascia prendere, rompendola con una filza di sagrati. Par di sentire il locandiere di Rieti.
Riposiamo un tratto, bevendo acqua, e ci frughiamo nelle tasche per ritrovare un'ultima crosta di pane. Improvvisamente, si dà il comando di rimetterci in marcia. Si sono sentiti degli spari, laggiù a mezzogiorno. Corriamo uscendo dal cortile, per una carraia che va verso Roma. Che cos'era avvenuto? Garibaldi, uso a muover sempre alla testa delle proprie avanguardie, aveva incontrato laggiù, a Casal de' Pazzi, una vedetta nemica; quattro o cinque cavalieri pontificii, che avevano scaricate contro di lui le loro pistole d'arcione, fuggendo tosto a galoppo, a carriera. Egli era rimasto illeso; ferito appena, ma leggermente, uno de' suoi ufficiali.
Ci avviciniamo anche noi a Casal de' Pazzi, dove abbiamo queste notizie. La fabbrica non è di casale che nella apparente rusticità dell'intonaco: nel complesso della membratura è un palazzo, e ci pare un castello murato tra il cinquecento e il seicento; rammodernato nell'ottocento, s'intende. Sarà quel che vorrà essere; io, curioso della campagna e della prospettiva, non sono entrato a vederlo.
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