Là dietro è Roma, l'eterna città, riconoscibile da pochi tratti monumentali e solenni: una fila d'archi, a sinistra, l'acquedotto di Claudio; poco lontana da quegli archi una gran mole quadra, listata di colonne, sormontata da statue, San Giovanni Laterano; più in là, sulla destra, una cupola immensa, coronata d'un globo dorato, San Pietro; finalmente, all'estrema sinistra, l'eminenza di monte Mario, con la sua piantata di cipressi, che dà l'immagine d'un manipolo di cavalieri in vedetta. La gran scena è tutta circonfusa di quella luce rosea, vaporosa e calda, che è una bellezza propria della campagna romana.
Mentre io sto contemplando quello spettacolo così nuovo per me, una mano mi si posa sulla spalla; e subito dopo una voce dolcissima, che ben riconosco, mi dice:
- Sapete dove siamo?
- No, generale, vedo questi luoghi per la prima volta.
- sul monte Sacro.
- Ah! - esclamai. - Per monte, tuttavia, è un po' basso.
- Agli occhi del capo, ve lo concedo, - rispose Garibaldi, sorridendo; - non già a quelli della storia. Qui il senatore Menenio Agrippa raccontò la sua favola dello stomaco e delle membra ribellate, persuadendo la plebe ammutinata a ritornare in città. Qui, secondo alcuni, e non sulla strada Latina, Marzio Conciano si accampò coi suoi Volsci, e vinto dalle preghiere della madre Veturia levò l'assedio dalla sua patria.
- E noi, generale, se la domanda è lecita, - osai dire, - che cosa ci faremo?
- Una breve fermata, io spero; - rispose il generale. - Aspettiamo un segnale di là; - soggiunse, dopo un istante di pausa, accennando davanti a sè, verso San Giovanni Laterano.
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