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      - In America, sì; - replicai. - Ma noi siamo in Italia, e nel Lazio.
      - Che cosa vuol dire?
      - Che Cerere è dea latina, -
      Egli mi aveva dato tre ore prima un cenno classico; io gliene davo un altro, che parve averlo vinto.
      - Avete ragione; - conchiuse.
      E mangiò tuttavia senza pane il suo spicchio di carne rifredda. Cioè, intendiamoci, non lo mangiò tutto: ne lasciò mezzo, che rinvoltò nella pagina del giornale, e consegnò al suo attendente. Doveva essere la sua cena, quel povero avanzo. Di bere non si parlò neanche; forse gli bastava un sorso d'acqua, accettato al casale della Cecchina. Garibaldi, come sapete, non beveva mai vino. Solo dopo il '60 aveva fatta una piccola concessione al Marsala, prendendone un dito, nelle occasioni solenni, certamente per grato animo ai sacri ricordi del suo sbarco in Sicilia.
      Il fuoco antiboino continuava, sempre con lo stesso esito di vana molestia. E frattanto, nessun segnale da Roma. Il viso di Garibaldi cominciò a rabbruscarsi, la falda del suo cappello a calarsi sugli occhi.
      - Che cos'hanno quei seccatori? - esclamò egli ad un tratto.
      Noi prendemmo coraggio a domandargli il permesso di rispondere con qualche colpo.
      - Purchè sia bene assestato; - rispose, assentendo col gesto. - Trovate quattro o cinque buoni tiratori, e andate ad appostarli laggiù, verso la falda della collina. -
      Obbedimmo prontamente. Cinque tiratori, dei meglio armati, scelti nei due battaglioni, furono collocati dove il Generale aveva consigliato. Una piccola siepe di rovi li nascondeva al nemico.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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