Così fumò anch'egli, il bravo De Roa, bellissimo brunetto, cavalleresco e prode, che seppi poi ufficiale d'ordinanza del generale Prim, e morto più tardi nella guerra contro i Carlisti. Sia pace alla sua bell'anima: per intanto, egli fece nobilmente il suo dovere a Mentana. E non poteva capire come si potesse dare indietro altrimenti che al passo. Nella terza fase della battaglia, quando nessuno più valse, nè Menotti, nè Canzio, nè Frigésy, a fermare certe giovani schiere che erano state colte da un panico strano, e mentre Garibaldi, fermo a cavallo sulla strada, fremeva di tanta codardia, mettendo lampi di sdegno dagli occhi fulminei, avvenne al De Roa di sciabolare un soldato che si era buttato a terra, contorcendosi nello spasimo della paura e gridando: "chi me l'avesse mai detto!" E non voleva lasciare il fucile, quel pauroso, stringendolo forte tra le mani convulse, non sentendo le piattonate, non sentendo i rimbrotti. Garibaldi calò le pupille un istante, a guardare la triste scena; pensò, torse le labbra, poi levò la mano in atto solenne, dicendo al concittadino del Cid:
- Eh, lasciatelo stare! -
Fu grazia della vita allo sciagurato, ma fu anche una sentenza peggior della morte, se quel convulsionario l'ha intesa. Che orrore per lui, se vive ancora e ne conserva memoria!
Ritorniamo al monte Sacro. Verso l'imbrunire fu deciso di dar volta a Castel Giubileo, donde la mattina eravamo partiti con tante speranze. Garibaldi aveva un messaggio da Roma: niente da sperare, là dentro, dove in quel medesimo giorno erano giunti i Francesi a sostegno del poter temporale.
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