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Ma chi li aveva accesi? Annibale, o Fabio Massimo? Lì per lì, non sapevo. Ma altri pensieri vennero a distornarmi piacevolmente da quella ricerca erudita ed infruttuosa. Pensai di fatti che la mia bella giornata l'avevo avuta, ed intiera. Le tenebre regnavano intorno a noi, tanto più fitte nello sfondo della scena, quanto più vivi sul primo piano rosseggiavano i fuochi. Ma la giornata era stata singolarmente luminosa: rivedevo la campagna pianeggiante di là dall'Aniene, seminata d'illustri rovine, l'acquedotto Claudio, San Giovanni Laterano con la sua ordinanza aerea di statue, la cupola di San Pietro col suo globo d'oro, monte Mario coi suoi negri lancieri in vedetta, tutta la prospettiva della eterna città circonfusa d'una rosea luce vaporosa, traente all'oro, come nelle glorie dei quadri antichi. Giornata inutile ad altri, che misurano ogni cosa dagli effetti ottenuti; ma non inutile a me, che l'avevo goduta! E pensai che fosse stata fatta unicamente per me; ne fui grato a Garibaldi; gliene sarò grato fin ch'io viva, perchè veramente fu la prima e sarà certamente l'ultima giornata bella della mia vita; con lui, davanti a lui, senza folle importune a levarmene la vista; vicino a lui nel pericolo lungo, nel pericolo dimenticato tra i lieti ragionamenti, che mi parvero pregustazione dei colloquii d'Eliso; vicino a lui nella speranza, infine, e nel pieno gaudio dell'essere. Viva Garibaldi! e il monte Sacro abbia il più sacro dei miei ricordi, per lui.
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