Chiedemmo allora, e facilmente ottenemmo dal nostro buon colonnello, di andare ad alloggio nella nostra cascina Villerma. Il vecchio castaldo che la teneva ci rivide volentieri, sebbene non fossimo gli ospiti più desiderabili del mondo. Ma già, se non eravamo noi, potevano esser altri; meglio adunque noi altri, visi ed umori conosciuti, come di suoi figliuoli. Buon vecchierello sorridente! Non aveva nient'altro da darci che paglia; ma quella paglia, son per dire che gli veniva proprio dal cuore. E poi, quando c'è la salute, c'è tutto.
Ma ora, che si fa? Qualcheduno deve andare a prender lingua, a scrutare i cuori e le reni, se gli riesce. Vado io, esploratore e diplomatico da strapazzo; tanto, avrò occasione di vedere gli amici. Ne vedo moltissimi, al primo piano del castello, nell'anticamera di Garibaldi, e passo un'ora chiacchierando con tutti, mentre si aspetta il Generale, che è salito sulla torre del castello, a specolar la campagna. Egli non scende che sull'imbrunire; mi vede e m'invita a cena. Accetto col gesto, e accetterei con la voce, se il colonnello Basso, segretario di Garibaldi, non mi facesse cenno con gli occhi e col capo. Non lo intendo, ma sto zitto; intanto il Generale si avvia, e l'amico Basso trova il modo di bisbigliarmi all'orecchio: - vieni pure, ma non accettar di mangiare con lui: non ha che una frittata di due ova. Seguo il consiglio del colonnello e i passi del Generale nella sala da pranzo;siedo a tavola, ma non per mangiare, avendo (oh generosa bugia!
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