Ma la storia non si ripete. Del resto, quarantott'ore dopo, su poco più di duemila combattenti, furono cinquecento che gli caddero intorno a Mentana. Come lezione all'Italia d'allora, non fu poi tanto male.
Quella sera, uscii tardi dal castello Piombino. Era buio pesto, nelle scale, tutte piene zeppe di soldati dormenti; ed io, nel discendere, incespicai una diecina di volte, urtando di qua e di là, facendo attaccar moccoli, che pur troppo non valsero a rischiararmi la discesa. Ma un cerino si accese improvvisamente nell'androne; a quella luce riconobbi un amico, celebre avvocato bolognese, già deputato alla Costituente romana, allora deputato di Forlì al Parlamento italiano, Oreste Regnoli. Egli giungeva allora allora a Monterotondo, e si volgeva al quartier generale per aver notizie del campo dei Genovesi, e ritrovarci un suo giovane amico. Non poteva capitar meglio; il suo valoroso amico diciottenne l'avevo io nella mia compagnia, vivo e sano.
- Venite con me, amico Regnoli, - gli dissi. - Tra quindici minuti potrete vederlo. -
Si uscì insieme a rivedere le stelle: passata la piccola spianata davanti al castello, e un certo portone di villa che mi ha sempre avuto l'aria di un arco di trionfo, entrammo in un vigneto; giungemmo al settimo filare, voltammo a sinistra, e trovato un sentiero campestre, ci avviammo diritti al piazzale della cascina Villerma. Anche là, nel portone e su per una scaletta che metteva al piano superiore della casa, pestammo piedi e stinchi allungati, facendo attaccar moccoli d'ogni misura.
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