E percuotendo il cavallo, scendeva dalla spianata, gridando con voce vibrata:
- Venite a morire con me! Venite a morire con me! Avete paura di venire a morire con me?
Alcune parole genovesi, augurali, e non di fortuna, accompagnavano la frase italiana; ma la voce si abbassava di un tono, dicendole; mentre era scandito, accentato con fiera progressione il "con me" ferma l'intonazione e accennante un disperato proposito. L'uomo era solenne, e solenne il momento. E tutti allora i reduci sfiniti, i cadenti spettatori della scena terribile, si strinsero ai fianchi di quel cavallo, confondendosi con quelle due compagnie, travolgendole, precipitandosi con lui nella strada. La carica della disperazione ottiene l'intento; il nemico si arresta, si ritira, facendo fuoco di dietro alle siepi. Garibaldi vorrebbe proseguire; ma a qual pro? A che gli servirebbero, fin dove, quei dugento uomini che porta in mezzo alle schiere nemiche?
L'occhio vigile di Stefano Canzio ha precorso il pericolo. L'animoso ufficiale coglie il momento opportuno del nemico arrestato, si gitta alla testa del cavallo e ne afferra le redini, gridando con voce di amoroso rimprovero, ma donde trapelano tutte le collere addensate da un'ora:
- Per chi vuol farsi ammazzare, Generale? per chi?
Ho veduto, ho sentito: il ripetuto "per chi?" fu quello che vinse l'animo di Garibaldi, serbando il suo cuore, il suo braccio, il suo nome, alla gloria di una sublime vendetta.
XV.
Triste partenza. Il convoglio miracoloso. Contrasti della vita
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Stefano Canzio Generale Garibaldi Garibaldi
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