Venezia e Genova, giā fiere rivali (la solita storia che bisogna dire quando i due nomi si associano) viaggiarono di buon accordo fino a Terni. Ma si fecero poche parole, quella notte; l'amico era ferito al braccio, e quantunque la ferita non fosse grave, gli pizzicava un po' troppo: del resto non era momento da discorsi allegri. Gaio compagno in altri tempi, il Tironi; sempre ricco di belle fantasie, pronto sempre alla celia. Rammento di lui un aneddoto, e lo metto qui, in mancanza di una conversazione che tra noi in quel momento necessariamente languiva.
Un giorno, Garibaldi, era in viaggio nel Veneto. A Lendinara, se ben ricordo, o in altro paese vicino, era stato accolto col suo seguito nella casa del sindaco. Da un pezzo erano lā, e non si parlava mai di andare a pranzo, nč si vedevano i segni precursori d'una chiamata a tavola. Gli ufficiali incominciavano a mormorare; qualcheduno accennava giā di voler uscire, per andare a trovare un'osteria.
- Lasciate fare a me, - disse Augusto Tironi, - parlo io al padron di casa; voglio esplorarne l'animo. -
L'idea parve temeraria ai compagni. Il sindaco non aveva accennato di voler dare da pranzo; poteva benissimo non averci pensato e non aver provveduto; nel qual caso una domanda importuna poteva turbargli lo spinto.
- Ma con garbo, veh! - dissero dunque al Tironi. - Pensa che siamo i suoi ospiti.
- Non dubitate, conosco le leggi.
E si mosse, andando in traccia del padrone di casa. Il sindaco, che andava e veniva per le stanze, fece un sorriso amabile a quel gran giovanotto dalle spalle quadre, dalla carnagione bianca e dai capelli rossi, che pareva balzato fuori da un quadro di Paolo Veronese.
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