PROLOGO.
Perchč ero io la mattina del 22 luglio in calesse, sulla via provinciale, tra San Giuseppe e Cairo Montenotte? Ecco un perchč di cui non dovrŕ occuparsi la storia; ma č necessario, per certe ragioni, dirň cosě, essenziali del mio racconto, che io lo confidi al lettore. Il lettore č discreto, e non abuserŕ certamente della confidenza che gli faccio. Andavo quel giorno ai Rivči.
Si dice i Rivči, nel vernacolo della Langa Aleramica, come si direbbe in italiano i Rivelli. So bene che Rivello non č nel vocabolario della lingua madre; ma so ancora che deve essere il babbo del rivellino, il marito della riva, della ripa, e d'altrettali eminenze.
La valle, da San Giuseppe a Cairo, č larga abbastanza. Il fiume, che č la Bormida, corre quasi sempre rodendo la sponda destra, e lasciando sulla sinistra allargarsi i prati e le vigne. Dietro a quei prati e a quelle vigne, si levano parecchi ordini di colline, sostenute alle spalle dai monti di Cosseria e del Cengio. Tra quelle colline si ascondono graziose e ombrose vallette, solcate da rigagnoli susurroni, che scendono ad aumentare considerevolmente la potenza idraulica della Bormida, nei mesi in cui essa ne ha meno bisogno: e ciň per compenso del poco o nulla che le recano, quando essa č piů magra, e i suoi pesci sospirano un'anima pietosa che li levi di pena. Tra queste vallette c'č ad esempio quella della Bŕissa, ossia della Balza; dove la balza č rappresentata da uno sprone di conglomerato rossigno, corroso dalle acque, sporgente sul fianco sinistro di chi risale il corso del rigagnolo, mentre sul fianco destro, sulla vetta d'un colle lungo, sorge tra una lieta mescolanza di pini e castagni un poetico romitorio di Sant'Anna.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909, pagine 213 |
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