In quella vece, se crediamo agli autori, non si fumava neanche la pipa.
Dunque, bene il calesse; bene il sigaro; ed anche una grata frescura veniva dai pioppi del fiume ad accarezzarmi la guancia. Ero contento, come può esserlo un uomo in questa valle.... della Bormida. E la signora Nina doveva essere contenta anche lei, perchè trottava lungo, brioso, a testa alta e scuotendo di tanto in tanto la sua bianca criniera.
La signora Nina, come avrete capito, era la cavalla del mio cocchiere. Il quale, dal canto suo, aveva nome Biagio; e l'ha tuttavia, perchè è giovane ancora, vigoroso e sano, mentro io scrivo queste pagine, raccontando di lui. Ma siccome si racconta per tutti i tempi, bisogna dire aveva. E non solamente aveva nome Biagio; non solamente era giovane, vigoroso e sano, ma era anche un buon figliuolo, che aveva fatti i suoi studii ginnasiali nel collegio di Carcare, e poteva all'occorrenza darvi una boccata di latino.
Sospetterei anzi che potesse darla anche di greco, perchè io lo incontrai una sera sull'uscio dell'osteria di Pasqualotto, mentre diceva a certi suoi amici, appoggiando la frase con un'alzata di spalle: "Ebbene, sia come volete, voi scrivetelo coll'omega, io lo scrivo coll'omicron."
Tutte queste virtù erano accompagnate da due difetti, se pure è da dirsi che sia difetto l'amore.
Biagio aveva due amori, e fortissimi: l'uno per il suo calesse, l'altro per la sua cavalla.
Guai a dirgli male dell'uno o dell'altra! Forse sarebbe stato meglio dirgli male di tutt'e due in una volta, perchè l'esagerazione del biasimo avrebbe nell'animo suo tolta ogni fede alle parole.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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Bormida Nina Nina Biagio Biagio Carcare Pasqualotto
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