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      Frate Eusebio scrive in latino, e non male. Raccoglie nel suo memoriale notizie di elezioni fratesche, fatterelli di cronaca conventuale, ed anche del borgo di Cairo; nota passaggi di soldatesche, di principi e di personaggi illustri; ricorda matrimonii, accenna fenomeni strani, registra perfino ricette empiriche del tempo suo, per guarire i geloni e per cacciare il diavolo dal corpo degli ossessi. Qua e là si ritrovano anche utili accenni a fatti dei secoli anteriori, a pergamene, a diplomi imperiali, a brevi pontificii, di cui non si avrebbe più notizia altrove, o bisognerebbe cercarla con molta fatica in archivii non sempre aperti al maggior numero, e non sempre ordinati per modo da agevolare le indagini degli studiosi. Non credo tuttavia che il suo codice sia sempre una guida sicura.
      Per recarne un esempio, a proposito della leggenda diabolica da lui riferita, frate Eusebio mi ha fatto smarrire un bel pezzo, dietro ad un diploma di Corrado I, laddove avrebbe dovuto dire di Ottone III. Ma infine, mercè sua ho trovato il bandolo della matassa, e questa io mi preparo a dipanare per voi, amici lettori. Il racconto mio, così rifatto dalle notizie di frate Eusebio, terrà il luogo di quello che ho avuto da Biagio, ed anche di quell'altro, che non vi farò, della gita ai Rivèi, e del pasto omerico che fu fatto lassù, con molte libazioni agli Iddii della patria.
     
     
      CAPITOLO I.
     
      In cui si ragiona d'uomini, tempi e costumi d'avanti il Mille.
     
      Siamo al tempo dei figliuoli di Aleramo; di quel celebre Aleramo, che non fu punto favoloso, ma intorno a cui sono spacciate tante favole, dopo ciò che ne scrisse frate Jacopo d'Acqui, nel 1334, cioè a dire tre secoli e mezzo dopo la morte di lui.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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