Molti Romani, cioè nati sotto legge romana, ridotti da tanti secoli di varia dominazione straniera in uno stato di servitù, o poco dissimile dalla servitù, sarebbero stati felici di poter dichiarare, davanti ai giudici, di vivere sotto la legge medesima dei loro padroni. Ma essi non erano Arimanni, purtroppo, non erano uomini liberi, e il giudice lo sapeva meglio di loro. Inutile adunque il mentire; bisognava dire la verità, anche se dicendo la verità tutta quanta si fosse quasi certi di non ottenere che una mezza giustizia.
Or dunque, se Marbaudo fosse stato chiamato davanti a Rainerio, quando il terribile castellano, assistito da uno scriba, rendeva giustizia in nome del suo signore per quelle piccole questioni che il conte Anselmo lasciava in cura alla sua alta saviezza, Marbaudo avrebbe dovuto dichiarare di vivere sotto la legge romana. Ma in cuor suo avrebbe anche soggiunto: "Che romana d'Egitto! qui si vive, pur troppo, sotto la legge del più forte, e non c'è Roma che tenga."
Marbaudo era nativo di Biestro, piccolo ceppo di case, a quei tempi, nascosto dietro la vetta dei monti, a mezzogiorno di Cairo; ma era sceso a vivere più sotto, in riva alla Burmia, a mezza strada tra i prati di Ferrania, dove ancora non era sorta l'abbazia di tal nome, e la terra di Cairo, che allora incominciava a riprendere per opera feudale un poco di quella importanza che aveva avute in altri tempi sotto il dominio romano. La casa dov'egli viveva, insieme co' suoi vecchi, aveva nome dagli Arimanni, e il nome ricordava che là era vissuta una famiglia di liberi uomini dell'epoca longobarda.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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