Erano tempi grami, e poco poteva provvedere ai lagni di lontani supplicanti il tribunale del sacro Palazzo.
Cosi, nell'assenza temporanea d'ogni autorità superiore, la giustizia era amministrata in ultimo appello dai conti. E i figli d'Aleramo, come conti di marca, o di confine che vogliam dire, non riconoscevano autorità giudicante sopra la loro propria, che esercitavano tuttavia nel nome dell'imperatore. E dormivano, perciò, le piccole questioni di due diocesi confinanti; e all'una e all'altra, per causa dei loro medesimi contrasti, erano egualmente negate le decime dei luoghi contestati.
Eccovi un esempio, Dodone coltivava un bel podere, sul territorio di Croceferrea. Egli sapeva, per averlo udito dai suoi vecchi, che quella domus culta, o terra coltivata, che egli teneva, era stata fondata dalla curia d'Alba, di cui egli per conseguenza era aldione, o dipendente, come lo erano stati i suoi vecchi. Ma il podere era stato notevolmente accresciuto, e la curia di Savona poteva sostenere che fosse stato accresciuto sul territorio suo. A quale delle due apparteneva oggimai il podere? Dodone avrebbe dichiarato volentieri che quel podere era il suo; ma ben sapeva che questa pretensione non gli sarebbe stata riconosciuta per buona da alcuno, e meno dal conte Anselmo, che giudicava a suo modo e si appropriava volentieri gli oggetti del litigio. Un bel vantaggio Dodone incominciava ad avercelo; non pagava ad Alba nè a Savona le decime; vedessero d'intendersi col conte a cui egli, come povero aldione, obbediente all'autorità più vicina, dava il frutto delle sue fatiche, e da cui finalmente otteneva aiuto e protezione nei momenti di bisogno.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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