Si capiva, al primo vederla, che Getruda non lavorava molto nei campi, quantunque fosse nata per quella vita faticosa. Dodone amava la figliuola, e la figliuola non amava il rozzo lavoro in cui si erano incallite le mani e curvate le spalle del padre.
Una donna che non lavora, che fa? Pensa naturalmente, ed è anche naturale che pensando ami. Pure, guardate che stranezza! Getruda non amava. Di questo che io vi affermo per scienza mia, avrebbe potuto farvi testimonianza il canonico Ansperto, della chiesa di Santa Maria di Cairo, a cui la ragazza confidava qualche volta i segreti di un'anima fiaccamente cristiana.
E non istate a credere che fosse fiacca la fede solamente in lei. Questo era il difetto del secolo, e le pratiche religiose non avevano allora la regolarità e la frequenza di tempi a noi più vicini. La confessione, per esempio, non era ufizio regolare di pietà, ma solamente si usava come rimedio per casi gravi, o si considerava una libera consultazione di circostanze solenni. Fino al secolo XIII i fedeli non ebbero dalla Chiesa altro obbligo di confessarsi, fuorchè il bisogno, variamente sentito, della propria coscienza. L'uso era assai trascurato, nei tempi di barbarie, o di mezza barbarie, che corsero dalla caduta dell'Impero romano all'apparir dei Comuni. Solo nel 1215 il quarto Concilio Lateranense reputò necessario d'imporre ad ogni fedel cristiano, sotto le pene più rigorose, l'obbligo di confessarsi almeno una volta all'anno.
Ma se quest'obbligo doveva essere stabilito per il sesso forte, ancor troppo imbevuto della ferocia medievale, è lecito di credere che il sesso debole usasse accostarsi più di sovente al tribunale della penitenza.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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