Quel giovane atleta, che pareva così timido alla presenza delle donne, era audacissimo nelle cacce sui monti, infestati allora da lupi, e nelle corse notturne per valli e foreste. Nell'inverno, quando un lenzuolo di neve si stendeva a più doppi su quegli ultimi sproni delle Alpi, le donne di Cosseria si radunavano alla veglia nelle grandi stalle di Dodone; e là, confortate dal caldo, in mezzo ai buoi che riposavano sui loro giacigli di paglia spesso rinnovata, al fioco lume di una lanterna sospesa al trave di mezzo, vecchie e giovani filavano allegramente. Non tutte, s'intende, riescivano a filare le due conocchie per sera, che sono l'obbligo e l'onore della buona filatrice. Le giovani, per esempio restavano troppo spesso incantate ai racconti di fate e di versiere che qualche vecchio faceva; o troppo spesso si fermavano a ridere, per qualche graziosa parola sussurrata al loro orecchio dai giovanotti, che stavano dalla parte loro, o seduti su d'una panca, o ritti con la spalla al muro.
Quando c'era Marbaudo (e c'era spesso, non dubitate), anch'egli raccontava le sue storie. E piaceva alle vecchie, che non offendeva mai, mutandole in vecchie streghe, come è vizio della gioventù, che non pensa di doverci arrivare anche lei, all'età dei capelli bianchi e arruffati, delle faccie grinzose e delle bocche sdentate. Nè piaceva meno alle giovani, perchè le maritava sempre a figli di conti e di imperatori, per l'intromissione cortese di spiritelli arguti e di fate benefiche.
Marbaudo raccontava bene, qualche volta un po' timido e perplesso nella frase, ma sempre con accento commosso, dando colore di verità alle cose narrate.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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Alpi Cosseria Dodone Marbaudo
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