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      Rainerio faceva spesso la salita di Croceferrea; nè sempre gli accadeva di trovare il vecchio aldione davanti alla casa; nè mai mostrava desiderio di vederlo subito, restando volentieri a discorrere con la sua bella figliuola.
      I castellani, si sa, son sempre di buon umore, quando parlano con le donne; gran mercè che vi siano donne, e piacenti di aspetto, nella casa del povero aldione, per render più umano, più facile ai perdoni e alle proroghe, un eterno ricevitore di tributi. Ammiccò dunque, il vecchio Dodone, con l'occhio piccolo e bianco sotto le ispide ciglia e sotto le palpebre aggrinzate; e il furbo ammicco si mutò in un sorriso melenso, quando Rainerio si mosse alquanto verso di lui, con la benignità dell'amicizia, non disgiunta dalla gravità del carattere padronale.
      Rainerio, infatti, era come un padrone, poichè esercitava tutti gli uffizi del padrone. Lassù il conte Anselmo non era salito mai; di rado lo avevano veduto in quelle valli, e sempre da lontano, quando passava con grande cavalcata di amici e servitori, per dar caccia alla selvaggina di quelle boscaglie, coi falconi o coi cani da giungere.
      Rainerio e Dodone ragionarono a lungo, presso un filare di viti, dove finiva il pergolato. E Getruda continuava a filare sull'uscio, guardando ora il castellano, che era un bell'uomo, come son belli dal più al meno tutti i signori per la gente del contado, ora spingendo gli occhi più in là, verso i faggi e gli abeti del Ronco di Maglio, che nascondevano a lei le terre ignote, le terre maravigliose, su cui Fredegonda aveva regnato, per il solo diritto della sua grande bellezza.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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