CAPITOLO III.
Come prendessero colore i sogni ambiziosidella bianca Getruda.
Ah sė, aveva ragione il nero castellano; Getruda bianca non era fatta per dar la mano ad un povero aldione, bensė per piacere ad un castellano, ad un conte, ad un re. Quante volte non glielo aveva detto l'acqua della fonte, su cui si era inchinata? E ancora glielo diceva, posto accortamente di sbieco verso la luce del sole, uno specchio di metallo, donato a sua madre dalla nobile Gerberga, moglie del conte Aleramo, e figliuola di re. Ah, parer bella egualmente al figlio di Aleramo, al figliastro della nobile Gerberga, quale fortuna! Perchč fino allora Getruda non aveva veduto.
Perchč fino allora Getruda non aveva veduto, non aveva immaginato nessuno che fosse pių alto di lui, conte Anselmo, signore di quelle terre, di tutte le cose e persone che in quelle terre esistevano.
Ma anche per giungere fino a lui, le sarebbe stato necessario passar per le mani del castellano Rainerio.
Per le mani e per le carezze sue! Sicuramente, quello non era l'uomo che Getruda avrebbe sognato, ne' suoi sogni ambiziosi. Ma era quell'uomo che le indicava un modo di giungere pių alto; un modo ch'ella altrimenti non sarebbe venuta a capo d'immaginare.
Fredegonda, la bellissima fantesca, da lui ricordata in buon punto, com'era giunta ai gradini del trono?
La bellezza č una gemma; e la gemma ha mestieri d'esser diligentemente pulita, nobilmente legata in oro dall'artefice, per piacere ai potenti che dovranno adornarsene.
Perde ella il pregio? o non lo acquista piuttosto, passando per le mani dell'orafo?
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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