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      Le monete, s'intende, e non gl'imperatori; i quali si guardavano soltanto per guarentigia del titolo. Non erano, per esempio, così pregiate le facce degli imperatori di Bisanzio; facce proibite, o da proibire, per la fede greca che appariva dal titolo inferiore dell'oro. Monete greche e monete romane erano del resto in uso per tutto il mondo conosciuto, e in Italia piacevano ai servi indigeni, come ai signori stranieri. Dodone non poteva sperare, all'età sua, di diventar grande; ma voleva esser ricco. E quando una di quelle monete entrava nel suo forziere, la faccia d'imperatore, che c'era impressa, non poteva sperare di escirne più, se non nelle ore quiete e solitarie che il vecchio aldione consacrava all'adorazione del suo dio. In tempi già tanto lontani dal culto degli imperatori estinti, Dodone di Croceferrea era un augustale a suo modo; non adorava gl'imperatori romani in ispirito, ma in verità; non nella idea della apoteosi, ma nella specie sonante.
      Aveva tre figli: due maschi e una femmina. Uno dei maschi, il primogenito, si era presto accasato; aveva voluto andarsene a vivere altrove; sicchè non c'era da fare più assegnamento su lui. Il secondo, ultimo nato, rimaneva ancora nel podere, in compagnia del padre; ma era giovane, e non ancora un sollievo per lui, specie nella vigilanza sui famigli e sui manovali presi a giornata.
      Occorreva dunque a Dodone un buon aiuto, intelligente e fedele, i cui servigi avrebbe pagati con la mano della figliuola. Marbaudo gli era parso l'uomo da ciò. E pensava per l'appunto a Marbaudo, quando rispondeva a Rainerio, che gli parlava di sua figlia:


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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