- mormorò Getruda. - Povera bellezza, che nessuno vedrà!
- L'ho veduta io, che saprò farla risplendere agli occhi del mondo; - replicò il castellano. - Pensa a Fredegonda.
- Se mio padre vorrà, dovrò pure obbedirgli.
- A questo penserò io. Promettimi soltanto di non risolver subito, di non precipitare, di non guastare i disegni di un uomo che t'ama. -
Getruda chinò la fronte, arrossendo, come avrebbe fatto alla frase insidiosa di un viandante ammirato. Ma Dodone aveva un occhio al cane e l'altro alla macchia; Dodone vide il castellano fermarsi ancora davanti alla casa e scambiare quelle poche parole con la sua ambiziosa figliuola; perciò, a mala pena il castellano Rainerio si fu allontanato dall'aia, andò egli verso Getruda.
- Che cosa ti ha detto il castellano? - le chiese.
- Padre mio.... che vuoi tu che mi abbia detto?
- Che sei bella, non è vero? -
Getruda abbassò gli occhi, intenta a far girare il suo fuso.
- E tu lo hai creduto, non è così?
- Padre mio.... son cose che tutti gli uomini dicono.
- E da un uomo solo si ascoltano; - replicò il vecchio Dodone. - Da un uomo solo; m'intendi? e dall'uomo che tuo padre avrà scelto per te. Questo che io ti dico per l'autorità paterna; ti può ripetere il canonico Ansperto, in nome della legge divina.
- Io non dò retta a nessuno; - disse Getruda, umiliata dal piglio sdegnoso del vecchio.- È colpa mia se il castellano, venendo a cercare di te, si ferma a parlarmi?
- Egli si fermerebbe meno, se tu non mostrassi di ascoltar volentieri le sue ciance.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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