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      Il vecchio se ne andò, poco raffidato dalle promesse di Ansperto.
      Quel gran discorritore aveva parlato molto dei privilegi della Chiesa, della sposa di Cristo; ma non si era punto occupato dei dritti dei poveri, che sono pure gli amici di Cristo, quei derelitti, quei soffrenti, per i quali egli dichiarò d'essere stato mandato dal padre celeste. Ah, la forza, la forza! come ha sempre ragione, la forza! e come soverchia facilmente tutte le altre ragioni, anche nell'animo di coloro che hanno per istituto di non riconoscer la forza, se non in quanto ella serve al trionfo della giustizia!
      Un'altra cosa aveva notata Dodone, udendo i ragionamenti del canonico Ansperto. Il sant'uomo parlava libero e risoluto quando si trattava del conte Anselmo; stentato e dimesso quando occorreva di accennare al castellano Rainerio. Signore e vassallo, erano due padroni collegati contro i servi della gleba, ma il padrone più vicino era il più temibile, anche essendo il minore. Di Anselmo lontano e noncurante si poteva far poca stima; non così del vicino e vigilante Rainerio.
      Così, anche il ministro del tempio, il consolatore degli oppressi, non che trovare nell'ufficio suo la virtù di resistere alla potenza degli oppressori, di assumere al loro cospetto la difesa dei miseri, cedeva disanimato davanti alla tracotanza dei castellani, padroni minori, oppressori di seconda mano, più prossimi e per conseguenza più gravi.
     
     
      CAPITOLO VI.
     
      Il castellano alle vedette.
     
      Rainerio faceva ritorno al suo torrione, quando gli venne veduto il padre di Getruda, sul punto che questi esciva dal chiostro di Santa Maria.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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