- Non abbiamo avuto a parlare di ciò; - rispose l'aldione. - Questo io so, senza che nessuno me lo dica, che io sono il servo di tutti. Nella scala della padronanza e della servitù, è già un bel guadagno aver meno gradi, sopra di sè.
- Ti lagni d'essere nel più umile? Hai ancora la terra, che serve a te, che ti ubbidisce e ti dà frutto. Nè io voglio credere che ogni cosa si converta in tributo al conte. Non saresti il savio uomo che io conosco, se qualche bella moneta imperiale non ti restasse appiccicata alle dita. Aggiungi poi che nel tuo stato non hai il fastidio dei gravi pensieri, che turbano la mente agli imperatori, ai conti, ed anche ai poveri castellani.
Sospirò, così dicendo, il castellano Rainerio, e la sua mano si degnò di premere più amorevolmente sulla spalla del vecchio.
- Questo sì, grazie a Dio benedetto! - mormorò Dodone. - E se non fosse per quelli che mi dà il bisogno di collocare la mia figliuola, potrei essere contento abbastanza ne' miei poveri cenci. -
Vedete un po'che stranezza! Era balenato in quel punto allo spirito del villano di Croceferrea di toccare il castellano nel cuore. Quella degnazione, quella bontà di Rainerio, gli erano parse di buon augurio, quasi un invito a toccare quel tasto.
- Ah, ci siamo! - disse il castellano. - Tu hai sempre in testa di dare la tua figliuola, quell'occhio di sole, ad un servo della gleba. Caro mio, tu vivi nell'errore, e vuoi anche morirci impenitente. Che pazzia è mai questa tua! E non pensi che quella cara fanciulla può essere la fortuna della tua casa.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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