Per resistere come lui a sei giorni di assiduo lavoro, Marbaudo non credeva che ce ne fossero due entro il giro di dodici miglia. Ma egli pensò ancora che se erano in gara parecchi, la prova della resistenza non sarebbe stata possibile, perchè in capo ad un giorno il prato sarebbe stato falciato tutto quanto. Perciò non bisognava fissarsi su ciò che un uomo potesse fare, lavorando sei giorni alla fila, ma su ciò che potesse, facendo lo sforzo maggiore, in un giorno.
E in questo caso non bisognava più offrirsi per falciare il prato in sei giorni, ma in cinque, ed anche in meno.
Marbaudo si fermò risoluto sui quattro. Andando con una buona falce, bene arrotata, anzi con due o tre lame già debitamente preparate, in modo da non dover perder tempo a ridargli il filo, si poteva anche dir quattro.
Non c'era che un pericolo: che egli si fosse trovato solo alla prova: nel qual caso, avendo promesso di compiere la fatica in quattro dì, non gli sarebbero durate tanto la lena e la furia del primo.
Ma quello era un caso improbabile. Alla più trista, poi, avrebbe lavorato di notte, e nell'ultima falciata di fieno avrebbe lasciata anche l'anima.
Quella sera il giovanotto si arrisicò di salire a Croceferrea, e di passare davanti alla casa di Dodone.
Non era stato lassù il giorno prima, e già gli pareva mill'anni. Getruda rispose freddamente al suo saluto; ma quella freddezza esteriore non era una cosa nuova, ed egli ci s'era avvezzato fin dai tempi in cui sperava di più. Dodone, per contro, gli fece un'accoglienza più affettuosa del solito.
| |
Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
|
|
Marbaudo Croceferrea Dodone Getruda Dodone
|