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      Io Legio (e ti permetto anche di declinarmi in Legio, Legionis!), falcerò io il maggese, vincerò io, guadagnerò io la bianca Getruda.
      - Ah sì, Legio, Legionis! - ripetè il povero prete, crollando melanconicamente la testa. - Il tuo nome è Legione. Ma che ti salta in capo di metterti in gara?
      - Ti ho detto già che vo' prender moglie.
      - Tu. Legione?
      - Io, sì, io. La gente non dice forse che quando sarò vecchio mi farò frate? Sarà, non sarà; nessuno può giurare per il futuro. Per intanto, prima di diventar vecchio ed invalido, vo' prender moglie e avere una bella nidiata di figliuoli. L'occasione, sai, fa l'uomo ladro. Quella diavola di ragazza è bella; e non somiglia punto a Dodone. Scommetterei che in quel sangue c'è mistura di più superbo legnaggio. Peccati vecchi, canonico! Tu che confessi da trent'anni, saprai forse anche questo. -
      Ansperto chinò la testa, e aggiunse all'atto rassegnato il sospiro dell'uomo che sa e non vuol dire.
      - La tua Getruda, - proseguiva frattanto quell'altro, - è bella per cento, orgogliosa per mille, ed ambiziosa per diecimila. Gliel hanno detto tanti, che è un occhio di sole, che può sperare ogni fortuna più grande! e tanti, che non glielo hanno detto, gliel hanno fatto pensare! Il sangue non è acqua; e il sangue di Getruda si è manifestato nel lavoro assiduo delle più matte ambizioni. Non vuol restare tra censuarii, accomunata ai vili servi della gleba. Oggi fa assegnamento sull'amore del castellano, di quel fosco e losco Rainerio, che la mariti lui e la porti via.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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