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      Il secondogenito del grande Aleramo viaggiava con orrevole corteggio di liberi uomini, tutti militi del suo seguito e compagni delle sue cavalcate, qualunque fossero, o di guerra o di caccia.
      A quel tempo (e mi pare di averlo già accennato) non potevano esser militi che gli uomini liberi. Questi, poi, erano uomini liberi di varie derivazioni: o di legge salica, burgundica, gotica, longobarda, i cui padri a tempi diversi erano scesi come guerrieri e invasori in Italia, o di legge romana, cioè a dire cittadini italiani che l'invasione aveva trovati, ridotti qua e là confusamente in servitù, ma in servitù non potuti ritenere, e più facilmente usati, essi e i loro discendenti, ad uffizi civili, dove la destrezza e l'ingegno ridavano loro quel credito onde la condizione di vinti li aveva spogliati.
      Qui naturalmente si parla degli abitanti delle città. Nei campi e nei piccoli borghi, che incominciavano a formarsi sul territorio dei vichi e dei latifondi romani, gli uomini liberi, non avevano altra alternativa che di coltivare la terra come aldioni e censuarii, col pericolo di cadere in servitù, accomunati ai servi della gleba, o di darsi al mestiere delle armi, diventando così veri compagni, quantunque inferiori, dei conti di marca, e da questa domesticità più onorata passando agli uffici di castellani, castaldi, gasindi, valvassori e vassalli.
      Erano i cortigiani d'allora, ma cortigiani militari; ed ogni signore investito di alta sovranità, duca, conte di palazzo o di marca, ad esempio del re e dell'imperatore da cui aveva ricevuto egli il suo titolo, faceva di que' militi la sua corte e la sua nobiltà secondaria, che poi doveva anche riuscire a liberarsi dalla dipendenza del conte, non riconoscendo più altra autorità fuor quella dell'imperatore.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





Aleramo Italia