Aggiungete che è sempre due tanti più caro quello che ci è costato fatica ottenere. Ma che hai tu, castellano, che mi stai lì muto come un pesce? Forse non ti pare che io ragioni abbastanza diritto?
- Dio tolga, che io non approvi col pensiero, quando parla il mio signore, rispose Rainerio, inchinandosi. - Io ascoltavo con reverenza.
Il conte Anselmo era di buon umore; e diede, a quelle parole, in una matta risata.
- Ecco una gravità di discorso - diss'egli - che tu hai portato con te per accrescere la dignità del tuo ufficio di giudice. Ma qui, caro mio, non sei giudice ancora.
- Nè sarò tale a San Donato; - replicò il castellano. - Dove tu sei, la giustizia è tuo diritto.
- Che! che! non mi parlar di restare un giorno a vedere quei tuoi falciatori. Non vedi, Rainerio? Abbiam cani e falconi; faremo caccia, stamane. Ritorneremo stasera, e vedremo quello che tu e gli scabini avrete giudicato. Quanti sono in gara!
- Cinque; - rispose Rainerio, sospirando.
- Cinque! - ripetè il conte. - Così pochi? Ma non è dunque un prodigio di bellezza, questa decantata Getruda?
- Erano molti di più; - disse Rainerio, evitando di rispondere alle ultime parole del conte. - Ma li ha spaventati la parola di un ultimo venuto, che ha offerto di falciare tutto il prato in un dì.
- Niente di meno! - esclamò il conte Anselmo. - Ma che grandezza ha egli, quel prato? Mi par di ricordare che non è la palma della mia mano.
- Quanto abbraccia l'occhio di un uomo a cavallo, tanto è lungo; quanto abbraccia l'occhio di un uomo a piedi, tanto è largo; - rispose Rainerio.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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