- E costui si propone di falciarlo in un giorno? Ma č pazzo da legare! - disse il conte. - E chi č questo matto?
- Un certo Legio.
- Di queste terre?
- No, vien da lontano. Tu hai consentito, o signore, che tutti, di qualunque terra, anche fuori de' tuoi dominii, potessero entrar nella gara.
- E non mi disdico. Se egli accetta di servire a Dodone, nel manso di Croceferrea, diventa uno dei nostri, in quella stessa guisa che la fanciulla č sua, se egli vince la prova. Ma tu non hai risposto ad una mia domanda. Č poi cosė bella, questa Getruda?
- Eh, cosė cosė! - rispose il castellano, torcendo il collo e abbassando l'orecchio verso la spalla, come per indicare lo sforzo che faceva, a concedere quel poco. - Bellezza montanina!
- Ce ne sono di maravigliose, in montagna; - disse il conte Anselmo, meno schizzinoso del suo castellano di Cairo. - Sappi, Rainerio, che l'altro giorno mi č accaduto di vederne una stupenda, fiorellino campestre, nascosto nel fondo di una valletta solitaria. Passavo sul margine di una ripa, lungo il letto di un torrente; il verde fitto dei cārpini mi nascondeva la persona, e l'erba folta della proda spegneva il rumore de' miei passi. Una cantilena mi giunse all'orecchio, venendo dal basso, la cantilena era monotona, ma la voce era argentina. Mi fermai a guardare tra i rami, e vidi allora, inginocchiata sulla sponda di un borro, colle braccia e il collo ignudi, una bellissima giovane. Bellissima, ti dico, e molte delle nostre donne avrebbero potuto invidiarle quella sua vita snella, le braccia tonde e bianche, il collo e l'ōmero fatti a pennello.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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Legio Dodone Croceferrea Getruda Anselmo Cairo Rainerio
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