Il castellano si sentì sollevato dalla assenza di Legio, e un gaio pensiero gli venne tosto alla mente.
Se fosse stato un sogno quel che gli era accaduto la sera innanzi!
Il nome di Legio, veramente, era scritto nel suo libro. Ma sì, scritto da lui! Poteva benissimo avere scritto quel nome, per un errore della sua mente, stravolta dai terrori di una brutta visione.
C'era bensì il fatto della gara ridotta al termine di un giorno, per riscontro alla offerta di Legio.
Ma anche quella poteva essere stata una gherminella, un'alzata d'ingegno, suggerita a lui, Rainerio, da un sentimento naturalissimo. Lavorando tutti per apparir capaci di falciare il prato in un giorno, nessuno avrebbe riportata la vittoria, ed egli allora avrebbe assegnata a suo talento la palma.
Il conte Anselmo si volse a Rainerio, dopo aver veduti gli uomini che stavano là ritti con le falci al piede.
- Che mi dicevi tu di cinque competitori? - domandò. - Io non ne vedo che quattro.
- È vero, - rispose il castellano. - Molti, si erano iscritti, ma soli quattro rimasero in gara, poichè l'ultimo venuto dichiarò di poter falciare il prato in un giorno. Ora, è proprio quell'uno che manca.
- Speriamo che venga. Del resto, chi tardi arriva male alloggia, - disse il conte ridendo. - Voi altri, giovanotti, all'ora assegnata, prendete i vostri posti, e falciate animosamente. Per oggi sarà erba; ma domani, per il vincitore, vuol essere una rosa; non è vero?
- Se l'è rosa fiorirà; se l'è spina pungerà; - sentenziò quello dei falciatori che chiamavano il Matto.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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