Così, e non altrimenti, doveva apparire quella figliuola dell'imperatore Costantino di cui correva allora la leggenda, che fosse fuggita dal palazzo imperiale di Bisanzio, per seguire un amato cavaliere in Italia, e vivere con lui, ignorata nei boschi, intenta alle cure della povera casa, mentre egli, lo splendido cortigiano, si adattava all'umile mestiere di carbonaio.
Così doveva apparire, ripeto, la figliuola di Costantino, ma col sorriso della felicità sul volto; perchè un amor vero, a cui tutte le ambizioni del mondo son lietamente sacrificate, non lascia a desiderare più nulla, e meno ancora quelle grandezze di cui troppo si è sperimentata la vanità.
Alla bianca Getruda le ambizioni non soddisfatte, le grandezze sognate e non raggiunte, dipingevano una superba mestizia sul viso e accendevano un fuoco di desiderio negli occhi. Così composta nell'aspetto, ma non serena, tranquilla, ma non modesta negli atti, Getruda teneva in rispetto il piccolo mondo de' suoi giovani aldioni, costretti a sospirar da lontano; destava le fiamme della passione nei cuori, ma non ispirava i confidenti discorsi alle labbra.
Bene sapeva il povero giovane degli Arimanni, quanto avesse dovuto penare, innanzi di esprimere con qualche timida parola il suo grande amore per lei. C'erano volute le veglie di tutto un inverno, lunghe veglie, in cui egli, narratore ascoltato, era apparso primo fra tutti i giovani della brigata, per fargli prender animo, per fargli interpetrare come una tacita esortazione lo sguardo attento e più lungo del solito, che a lui rivolgeva la figliuola di Dodone, sotto il fioco lume della lanterna sospesa al trave della tiepida stalla.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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