Rainerio stesso l'aveva educata a non mettere il cuor suo in quella povera speranza; bensì le aveva fatto brillare davanti agli occhi una sorte più degna. In quegli accenni agli splendori d'una corte, la bianca e superba Getruda aveva sentito fremere la sua vocazione.
E come avviene che, quando si parla a noi di cosa ignota, noi amiamo figurarcela subito in qualche modo, prendendo norma da altre cose conosciute, così accadeva a Getruda di raffigurarsi la fortuna fatta balenare a' suoi occhi dall'astuto Rainerio, nella persona a mala pena intravveduta del conte Anselmo, del nobile cacciatore, che solo due volte era passato sotto i ciglioni di Croceferrea, come una gloriosa visione.
Ora, quel nobile cavaliere, quel conte Anselmo, su cui non era più nulla e nessuno, tranne l'imperatore e Dio, aveva posto piede nella casa di Dodone, aveva veduta la bella figliuola di lui, e tosto si era affrettato a congedar la sua gente. E seduto davanti all'ambiziosa filatrice, non sapeva spiccar gli occhi da lei, mentre, con la voce più soave e con l'accento più carezzevole ch'ella avesse udito mai, le diceva:
- Sei tu, dunque, Ingetruda, la figliuola del nostro buon amico Dodone, decantata nei miei dominii per maravigliosa bellezza? Non arrossire, ti prego. La fama non mi aveva recato neanco la metà del vero, che oggi riconosco ed ammiro con gli occhi miei proprii. E mi meraviglio ancora di me, che ho potuto ignorare fino a quest'oggi l'esistenza di una creatura così divinamente bella, in queste valli che mi ha lasciate in retaggio il valor di Aleramo.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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