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      - Tu sei mia.... - incominciò soavemente Anselmo. - Non devi sdegnartene, bella! è il sogno che lo vuole. -
      Getruda non pensava punto a sdegnarsi. Il moto improvviso della persona, con cui aveva risposto all'esordio del conte, e che a lui era parso di sdegno, o di timore, significava ben altro.
      - Tu sei mia - ripigliò il conte - ed io ti ho donato un castello. Quale? Saliceto, o Ponte Invrea? Merana, o Mombaldone? Scegli quel che vorrai, tra quanti ne ho avuti in retaggio da Aleramo mio padre; purchè non sia di confine, dove è ben altro ritrovo che d'amori felici, e dove il regno della bellezza si accomoderebbe male con le necessità della guerra. In quel castello, che tu hai scelto, sei contessa e signora. Nè ti dispiaccia che t'abbia impalmata la mia mano sinistra, o Ingetruda. Questa mano stringe più ardentemente dell'altra; poichè essa è dalla parte del cuore. Là, dunque, ripeto, sei contessa e signora; ti obbedisce il castellano; pendono da un tuo cenno castaldi ed armigeri, esecutori fedeli delle tue volontà. Il tuo servo d'amore, il felice Anselmo, è spesso in volta per i suoi vasti dominii; ma de' suoi vasti dominii preferisce quel tratto dove non è più egli il padrone.
      - Che dici tu, mio signore? - interruppe Getruda, sorridendo. - Perchè non dire quel tratto dov'egli è più padrone che altrove?
      - Ah, fosse vero, Ingetruda! - esclamò il conte Anselmo, avvicinandosi ancora. - Ed egli sarebbe così spesso colà, accanto alla dama del suo cuore! Essa gli farebbe oneste ed amorose accoglienze, non è vero? e in quella pace si amerebbero tanto! e non farebbero altro che dirselo!


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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