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      Non era poi infrequente il caso che il nuovo patrono fosse scelto tra i nomi del martirologio cristiano, che più somigliavano al nome del titolare antico.
      Ma perchè le divinità dell'Olimpo pagano, una volta cacciate di seggio, erano relegate tra i diavoli, non era neppure infrequente che si vedesse qualche diavolo aggirarsi nei luoghi dove un tempo aveva egli regnato, quasi non sapesse spiccarsi dalla sua vecchia dimora, nè adattarsi a vederla occupata da un nuovo padrone.
      Perciò, nelle ore notturne, non era piacevole trovarsi laggiù, col pericolo d'imbattersi nel visitatore importuno, così facile a presentarsi sulla svolta di un sentiero, con le corna aguzze e coi piè forcuti di un immondo caprone. E la cosa non era neanche piacevole, per la tetra solitudine dei luoghi.
      Dal borgo di Cairo, per esempio, andando verso mezzodì, non era traccia d'uomini che alla cappella di San Donato; e di là bisognava andare un lungo tratto per ritrovare quell'altro edifizio rustico che era la casa degli Arimanni (domus Arimannorum, nelle carte del Mille); donde occorreva poi di fare un altro miglio di strada deserta, attraversando incolte boscaglie, costeggiando forre e varcando letti di torrenti, prima di giungere al ceppo di case che dicevasi le Càrcare, sul territorio della vecchia Calanico, o Caralico, dei tempi romani imperiali.
      No, davvero, non c'era bisogno del timore d'imbattersi nel diavolo in persona, per evitare l'occasione di una notturna passeggiata in quei luoghi, dove spesso, in cerca di preda, scorrazzavano i lupi delle macchie vicine; quei lupi famelici che le fantasie popolari trasformavano anche volentieri in lupi mannari, in lupi umani, cioè a dire uomini per virtù di sortilegio tramutati in lupi.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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