Pagina (163/213)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      - Per lui, fossero quattro, in gara, o fossero cento, doveva faticare egualmente; e il fermarsi a guardare non lo avrebbe punto vantaggiato.
      Perciò seguitava a falciare; e in due ore di fatica, senza posar mai un istante, aveva fatto il lavoro di quattro uomini.
      Ma più avanzava, spesseggiando i suoi colpi, più doveva pensare che la stanchezza lo avrebbe vinto.
      Già incominciava a grondargli dalle tempia il sudore; ed egli per non perdere il tempo, non si rasciugava nemmeno la fronte.
      - Ancora un centinaio di falciate, diceva tra sè - e poi mi riposerò il tempo di un'avemaria. -
      Ma quando i cento colpi eran dati, rimandava quell'istante di riposo dopo altri cento; poi dopo altri cinquanta, dopo altri venti, dopo altri dieci, e così via, mantenendo le forze con la promessa di ricogliere il fiato tra breve.
      Certo, se avesse potuto durarle fino a sera con quella celerità di lavoro e con quell'inganno continuo ai suoi muscoli, in capo ad un giorno avrebbe falciata la metà dello sterminato maggese.
      E frattanto, se l'orecchio non lo tradiva, altri lavorava con una rapidità pari alla sua, se non forse maggiore. Gli giungeva dal mezzo della valle un suono sottile, prolungato, a guisa d'un sibilo, che ricordava per l'appunto quello di una gran lama scorrente.
      Di sicuro, quello era il suono d'una falce. Ma che taglio faceva essa mai, se il suono era così lungo? Inoltre era un suono lontano lontano, che dal mezzo del prato pareva andare al lato opposto, verso la sponda sinistra del fiume.
      A tutta prima se n'era spaventato, immaginando che il nuovo venuto avesse fatto in breve ora così grande cammino da giungere verso il centro del prato.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213