Sicuramente, per correr tanto, non aveva fatto troppo largo lo squarcio; ma era sempre un bel lavorare, quell'avvicinarsi al centro, anche su breve lista di falciatura, avendo attaccato il maggese da un punto della circonferenza. Ed ecco, che lo sgrigiolìo del ferro, scambio di avvicinarsi dell'altro, si allontanava sempre più verso il fiume! Marbaudo non capiva più che cosa fosse avvenuto.
L'idea che il nuovo competitore avesse incominciato dal centro non gli si era affacciata alla mente.
Ci pensò poi, e gli parve strano.
Ma infine, strano o naturale che fosse, quel lavoro procedeva sollecito, e faceva sì che Marbaudo non osasse più neanche promettersi quell'istante di riposo.
E seguitava a falciare, trattenendo il respiro, mordendosi ad ogni tanto le labbra.
Così passò un certo spazio di tempo, che poteva esser lungo, o breve, ma che egli non misurò, poichè non contava neanche più i suoi colpi di falce.
Tutto ad un tratto, lo sgrigiolìo di quel ferro lontano cessò; poscia riprese più vivo, ma anche più vicino.
Evidentemente il falciatore aveva smesso di lavorare dalla parte del fiume, e si voltava verso Marbaudo.
Il giovanotto tese l'orecchio, e sentì che la falce si avvicinava, si avvicinava sempre più.
Levò la persona sbigottito, ficcò gli occhi davanti a sè tra le vette del fieno, e vide una cosa strana, il luccichio della falce, che correva a tondo, levando scintille attraverso gli steli non ancora recisi.
E intanto, a grado a grado, il falciatore si faceva più lungo, di guisa che tutto il busto soverchiava l'altezza dell'erba; e le braccia si allungavano in proporzione, e il manico della falce cresceva a dismisura, ed anche il ferro lucente.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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Marbaudo Marbaudo Marbaudo
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