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      Getruda ha mostrato il desiderio di sposare il diavolo, che sono io, anzi che cadere in balia di Marbaudo, che sei tu. Tu dunque intenderai, ragazzo mio, che il mio obbligo era quello di mettermi in gara e di vincere. Che cosa non si farebbe, invocati con tanto ardore di desiderio da una bella donnina! Io accorro, come tu vedi, vinco, e me la porto via. -
     
     
      CAPITOLO XVI.
     
      In cui Legio sfodera la sua scienza, e squadernai suoi titoli.
     
      Si avvicinava, frattanto. Il maggese, dietro a lui, si vedeva tutto falciato, fin dove poteva correr l'occhio. E la falce, e il personaggio della falce, si erano raccorciati alla giusta misura.
      - Allontànati! - gridò Marbaudo. - Non mi toccare! Nel nome del Padre....
      - Chetati, via! - interruppe Legio. - Te l'ho già detto: non ti voglio far male; non voglio nulla da te. Vattene a casa tua, e sarà pel tuo meglio. Frattanto, lasciami passare, poichè debbo recarmi da quel nobile castellano Rainerio e dai suoi due scabini, clarissimi viri, per far riconoscere il mio buon diritto. -
      Così dicendo, Legio passò rasente a Marbaudo, che istintivamente si ritrasse. Ma là, presso la chiesuola di San Donato, non c'era più anima viva. Si vedeva bensì il castellano Rainerio, ma lungo disteso sul limitare del sagrato, come un corpo morto.
      Laggiù, sulla strada di Cairo, i due scabini fuggivano a gambe levate verso il borgo; e davanti a loro, ma assai più svelti, con le ali alle calcagna, i famigli di mastro Scarrone.
      - Vedeteli là, i paurosi! - disse Legio, ghignando. - E quest'altro, che ha avuto più paura di loro, e gli son mancate le gambe!


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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