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      Non è mica morto, il cane! - soggiunse, allungando una pedata al castellano. - È svenuto come una vil femminetta. E costoro vogliono spadroneggiare nel mondo! Ma dov'è mastro Scarrone, principe dei banditori, trombettiere eccellente per il giorno del giudizio? Ehi, mastro Scarrone, dico a te; esci fuori dal tuo nascondiglio, se non vuoi che venga io a pigliarti per un orecchio. Credi tu che io non ti veda, accoccolato dietro la siepe? -
      A quelle ultime parole il banditore si mosse, e comparve fuor dalla siepe, con la sua faccia stravolta. Il poveraccio non aveva fatto in tempo per darsela a gambe, come i suoi famigli, che avevano meno ventre e meno pappagorgia di lui; perciò s'era appiattato.
      - Ebbene, mastro Scarrone! - ripigliò Legio, accostandosi a lui, e mettendogli una mano sulla spalla. - Ritto, perbacco, che bisognerà muover le gambe.
      - Mio signore per pietà! - balbettò il vecchio banditore. - Sono un padre di famiglia. Ti supplico, non mi prendere la vita!
      - E che ne farei io della tua vita? Della tua tromba ho bisogno; ed anche della tua testimonianza. Di tante persone che hanno assistito alla gara, tu solo rimani a far fede della mia vittoria. Sei il banditore; devi precedermi ed annunziare a Croceferrea che io ho guadagnata la sposa.
      - Guadagnata, sì, guadagnata; - borbottò Scarrone. - E come! con quella falce così lunga!...
      - Sicuro, con quella falce così lunga. E scommetto che ti è sembrata una cosa strana, un sortilegio, una magia....
      - Eh, mio signore, perdonami, ma questo ho pensato.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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