Immaginate la sua rabbia. Ed era solo, egli, il signore dei luoghi; era solo, davanti ad una moltitudine sconosciuta, che si faceva beffe di lui e della sua autorità comitale.
Pensò allora che non troppo lungi dovevano essere i suoi militi, e ricordò di aver al fianco il suo corno d'olifanto. Lo recò tosto alle labbra e ne trasse fuori due squilli poderosi, indi subito un terzo, che era per chieder soccorso. Ma la turba degli uomini rossi, accerchiandolo, si prese giuoco di lui.
- Sono in caccia i tuoi militi, o conte! - gli dicevano, ballandogli intorno il frescone. - Sono in caccia sulla montagna di Biestro, e non udranno i tre squilli della tua paura. Sono in caccia di lepri e di starne, e sei tu che li hai mandati lontani da te, per rimanere in caccia di miglior selvaggina. Tu volevi la bella figliuola del tuo servo Dodone; prendevi allegramente i suoi baci, mentre i falciatori lavoravano a furia sul prato, per guadagnar la sua mano. Ah, ah, povero conte! quei baci ti rimarranno sul cuore, aspettandone invano degli altri. -
Così gridavano, beffardamente, e ballavano la ridda.
Legio, frattanto, presa per mano la sposa entrava nella casa con lei; e dietro a loro i donzelli, con le coppe d'oro e d'argento, con gli stipi d'ebano, incrostati d'avorio, con le custodie di cristallo e di madreperla, in cui brillavano le gemme, i vezzi, i monili. Getruda sparì nel vano dell'uscio, e con lei la montagna di luce che le fiammeggiava al sommo del petto.
- Lasciatemi passare, - gridò il conte Anselmo, tentando di rompere la cerchia.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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Biestro Dodone Anselmo Getruda
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