Frattanto la moltitudine cresceva, stringendo la cerchia, e ballava e cantava in cadenza.
- Tu vuoi tutto, bel conte; vuoi poderi e vuoi donne. Ma le donne sono degli uomini che le hanno guadagnate col loro amore e con le loro fatiche; i poderi son della Chiesa, che li ha ereditati dai legittimi padroni. Tu rubi le donne altrui, bel conte; tu rubi i poderi alla Chiesa. E sei dannato, bel conte! Dannato! dannato!
- Nel nome di Dio, spiriti infernali, datemi il passo! Nel nome di Dio!... Ah, Marbaudo, a me! -
Così gridò il conte Anselmo, riprendendo coraggio, poichè, attraverso le mobili teste dei rossi saltatori, vedeva apparire Marbaudo sul confine dell'aia.
Marbaudo vide la ridda oscena, che già gli aveva narrata Scarrone, fuggito dianzi dall'aia; ed anche udì il grido del suo signore, come già aveva uditi, appena giunto alle falde della collina, i tre squilli del corno di Anselmo.
- Eccomi, messer conte! - diss'egli accorrendo. - Ed ecco tali aiuti, contro cui non varranno le potenze d'inferno.
CAPITOLO XVIII.
Di un tristo ballo, che fece il conte Anselmo,
e come al vecchio Dodone dèsse volta il cervello.
Al giovanotto degli Arimanni il misterioso falciatore si era svelato meglio che non avesse fatto agli altri. O forse è da dire che Marbaudo, guidato dalla potenza dell'amor suo, non si era lasciato ingannare come gli altri dalle menzogne del nemico.
Già nella falce che si allungava, recidendo l'erba dal centro ai confini del prato, egli aveva fiutata la malìa; nè gli era parso, che Legio dicesse il vero, vantando le virtù prodigiose del salcio.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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