A tutta prima, vedendo perduta Getruda, avrebbe voluto scagliarsi contro il vincitore. Ma come tener testa al principe delle tenebre? A quella impresa non si poteva accingere che un santo; ed egli, Marbaudo, non era che un povero peccatore, agitato da tutte le passioni della misera creta umana. Che cosa avrebbe potuto fare? Che cosa tentare? La buona ispirazione gli venne, quando Legio gli ebbe intimato di levarsi di lą, se pur gli era cara la vita. A lui non era punto cara la vita; ma gli premeva di salvare Getruda, anche ingrata e sconoscente, com'ella si era dimostrata con lui.
Seguendo la buona ispirazione, Marbaudo aveva obbedito al comando di Legio; si era levato di lą; ma non per ritornare, pauroso, sconfitto, alla casa degli Arimanni. Davanti alla chiesuola di San Donato non era gran tratto di sentiero per giungere infine al greto della Bormida. Marbaudo si avviņ prontamente a quella volta, come, se volesse prendere quella strada e fare il giro pił largo, ma tanto pił sicuro, per ritornarsene a casa sua. Appena si ritrovņ egli al riparo tra i salici e gli ontani che imboscavano la riva del fiume, volse rapidamente a tramontana, e fece a volo il miglio di strada che separava la chiesuola di San Donato dalle porte di Cairo.
Giunto al chiostro di Santa Maria, non ebbe a dir nulla di nuovo, poichč lą erano corsi gią per aiuto gli scabini di Rainerio e i trombettieri di mastro Scarrone. E gli uni e gli altri confusamente, come ad essi dettava il terrore, avevano narrato l'accaduto ai canonici, chiedendo gli ufizi del loro ministero contro le male arti del diavolo.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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