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      Anche lui portarono molto sulle braccia i buoni popolani di Cairo.
      La croce andava innanzi, portata da un chierichetto animoso. E fu quella che il conte Anselmo vide comparire dietro alle spalle di Marbaudo, quando il giovanotto degli Arimanni, veduto Scarrone che fuggiva spaventato, e udito dalle sue rotte parole il grave pericolo del conte, si era cacciato avanti con tanta sollecitudine. Dietro alla croce, ansanti, trafelati, cantando, o piuttosto cincischiando con tremola voce i versetti di un salmo, venivano i canonici di Santa Maria.
      All'apparir della croce si sciolse prontamente la fitta catena che stringeva d'ogni parte il povero conte Anselmo. La turba dei rossi persecutori si dileguò in un baleno.
      - Che è ciò? - disse il conte, guardandosi intorno con aria trasognata. - Più nulla! Tutti quegli orridi ceffi sono spariti ad un tratto.
      - Virtù della croce, o conte! - rispose il canonico Ansperto, felice di escire a così buon patto da una grande difficoltà. Ella si mostra, e cedono il campo le potenze infernali. -
      Ma dov'era Getruda? E dove Legio, il maledetto vincitor della gara? Questo era il nodo della quistione, mentre la ridda dei diavoli minori intorno al conte Anselmo si poteva considerare come uno scherzo.
      Riavutosi dal suo smarrimento, il conte Anselmo potè raccontar brevemente agli astanti come Legio avesse condotta entro casa la figlia di Dodone, e come la coppia nuziale fosse stata seguita da un numeroso stuolo di donzelli, recanti su guanciali di seta, o in coppe di prezioso metallo, o in custodie di cristallo e stipi d'ebano intarsiati d'avorio, i donativi dello sposo.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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