Tra questi pensieri ondeggiava, quando gli si accostò il vecchio Dodone, con atto rispettoso.
- Sei tu il nostro signor conte? - diceva l'aldione, levandosi la berretta e inchinandosi profondamente. - È un giorno fortunato per me, che tu ti degni di visitar la casa del tuo servo, poichè avrei qualche cosa da dirti.
- Grazie! - mormorò tristamente Anselmo. - Che vuoi tu buon Dodone? -
E così dicendo, chetava col gesto gli amici del vecchio, i quali si erano avanzati, per trattenerlo.
- Nulla per me; - disse Dodone. - Io son vecchio e non desidero nulla. Vivo qui, sulla terra dove son nato, e mi basta. Ma ho da farti una confessione, mio signore. Tu sei buono, mi dicono tutti, e l'ascolterai benignamente; non farai come Rainerio, il tuo malvagio castellano, che non vuol sentir la ragione. Ora, se io non parlo, un giorno o l'altro Iddio mi punirà. Il manso di Croceferrea non è tuo, conte Anselmo. Esso appartiene alla Chiesa.
- Alla Chiesa! - esclamò il conte. - Ben so di queste pretese. Ma non so che ci sia una carta, per dimostrarlo.
- C'è la memoria dei vecchi; - riprese Dodone. - I miei mi han sempre detto che questo manso doveva essere della Curia.
- Ebbene, sia pure, ammettiamolo per un istante; - disse il conte. - Di qual Curia? d'Alba, o di Savona? Le due parti contendenti non sanno mettersi d'accordo su ciò. E vuoi tu che io riconosca un dritto, il quale non riesce nemmeno a trovare il suo fondamento nella concordia delle testimonianze orali? A giudicarne dalle apparenze, questa terra, se non è mia, dovrebb'essere piuttosto dei padri tuoi, che l'hanno coltivata e messa a frutto.
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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1909
pagine 213 |
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