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      Oramai era diventato uno spavento il dover passare di là. Di nottetempo si udivano musiche strane, di trombe e di timpani, sul prato maledetto, corso da fiaccole misteriose, che rischiaravano una ridda di demonii. Erano, si diceva, le nozze del diavolo. Così nessuno osò più attraversare il prato dopo l'avemaria; e ben presto non piacque nemmeno attraversarlo di giorno. Gli uomini di Bauzile, di Lagorotondo, quando avevano necessità di recarsi a Cairo, passavano volentieri da Bormida, per far la strada delle Branie; quei di Biestro, di Millesimo e di Croceferrea, tenevano il sentiero dei monti, amando meglio raddoppiare la lunghezza del cammino, pur di evitare la vista del prato maledetto.
      Nella casa degli Arimanni regnava silenzio di tomba. Marbaudo era morto di crepacuore, nel primo anniversario della morte di Getruda. Rainerio, abbandonata la moglie e i figliuoli, era andato a rinchiudersi nel monastero di Spigno, chiedendo al chiostro e alla sua penitenza il perdono dei suoi falli. Viveva il vecchio Dodone; ma in lui era morta la ragione. Di tanto in tanto pareva ritornargli una coscienza vaga del passato; e allora dava in ismanie, piangeva e rideva convulso, chiamando la figlia, e credendo di vederla in ogni persona che gli si parasse dinanzi.
      Il conte Anselmo avrebbe dato alla Chiesa, non pure il maggese di San Donato, ma le case degli Arimanni, Croceferrea, Bauzile, e quant'altro possedeva, fino a Lagorotondo, sul colle di San Giacomo. E d'altri luoghi avrebbe volentieri pagata la decima richiesta.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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