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      Onde avviene che si formano certi schemi di arte, in cui la visione degli artisti vissuti nello stesso ambiente storico sembra avere un punctum caecum sempre allo stesso posto. Per esempio, v'è nell'opera italiana un luogo più comune delle così dette arie della pazzia, scena della maledizione, scena del riconoscimento, scena d'amore, scena della morte? Però, superata da noi la noia che c'infligge questa costante retorica di situazioni, talvolta niente è più bello della melodia che il compositore trovò per tale situazione trita e ritrita. Al modo stesso, nella musica religiosa di Bach, la condizione del contenuto essendo convenzionalissima, le cantate del maestro di Eisenach, eccettuati alcuni recitativi ed alcuni cori, consistevano sempre in arie e in duetti in cui il vanerello amore agghindato e incipriato e imparruccato dell'anima per il suo innamoratissimo padre, era espresso con sempre nuova eleganza sincera dal compositore, che non sospettava affatto quanto fosse indecoroso per l'anima e per Dio tenere quel contegno da Florindo e Rosaura. In questo caso, come nel caso delle situazioni melodrammatiche dell'opera italiana, noi non possiamo chiamare retorica la forma musicale (talvolta bellissima se staccata dal contesto col quale ha relazioni che noi non possiamo sopportare); ma retorica, le condizioni in cui è sorta tale musica; la quale anche ai contemporanei parve bellissima e fu da quelli medesimi ben distinta dalla musica veramente retorica, cioè la vecchia intuizione, il vecchio motivo, la volgare modulazione ripetuta ormai a sazietà.


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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