Lola partita, il duetto riprende con maggior furore. La vena lirica del Mascagni si riapre, versa torrenti di melodia. Sono in particolare belle la melodia sulle parole: no, no, Turiddu, rimani ancora, e quella: la tua Santuzza piange e t'implora, ambedue già fatte udire nel preludio. Le diverse sfumature del dolore di Santuzza e del rimorso orgoglioso di Turiddu, vi sono espresse come meglio non si poteva. Caratteristici sono i furori (è la vera parola) melodici, allorchè le voci salgono a una altezza disperata, vibrando in un fortissimo passionale di tutta la massa orchestrale. Questi abbandoni frenetici al fortissimo furono da me già osservati, a proposito della preghiera, come una delle principali caratteristiche dell'esuberante e prepotente natura musicale del Mascagni. Naturalmente nessuna attitudine, come questa, alla retorica può esser pericolosa e trascinare nel vuoto e nel volgare; però la freschezza giovanile con cui il Mascagni compose la Cavalleria, difende assai questo spartito dal pericolo suddetto. Il duetto, dopo aver percorse diverse fasi tutte interessanti, s'arresta ad un tratto su di un tremolo dei bassi, al quale si mischiano soffocate ed irose le offese supreme dei due fidanzati. Momento indovinato, in cui il canto e la parola, insomma l'intuizione del proprio stato di anima, cessa per dar luogo al suono rauco e quasi bestiale dell'ira cieca. L'ira infatti, al suo estremo furore, estingue ogni rappresentazione lucida; l'uomo non vede più che in confuso; il turbine della passione scatenata lo disumana, lo fa tornare natura, sentimento incosciente.
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