Non ripeterò la difesa alla banalità squillante e argentina di questa scena popolare. Nè difenderò la gaiezza sprizzante e saltellante del brindisi. Giacchè chi non sente la bellezza di questa scena e di questo brindisi, non ha mai bevuto e ammirato sotto le pergole appena verzicanti dai tralci che rimettono, in certe graziose trattorie di campagna, il luccicore rosso del vino coronato di spuma rosea, al sole di primavera. In fondo in fondo i critici dovrebbero avere una possibilità quasi infinita di esperienze, che dovrebbero risorgere alla voce suggeritrice e rievocatrice dell'arte. Ma questa possibilità è troppo rara, perchè noi ci rassegnamo a sentire malmenare della musica anche bella, da critici troppo limitati e accecati da pregiudizi micidiali.
Alla interruzione dell'intermezzo e della bella scena popolare, succede più tragica e più feroce l'ultima ripresa del dramma. E il finale è perfetto in tutte le sue parti. Dalla sfida di Alfio al discorso sconclusionato di Turiddu, che sente in sè sorgere prepotente il rimorso per il male che ha fatto a Santuzza; dall'addio di Turiddu alla madre, d'una dolcezza che strazia, al murmure lontano del popolo che annuncia tumultuosamente l'uccisione di Turiddu; è un seguito di episodi che fanno uguagliare a questo finale la bellezza della romanza e del duetto di Santa e di Turiddu. Ma di tutti questi episodi, l'addio di Turiddu alla madre è forse tale da superare la bellezza non solo del resto del finale, ma ancora di tutta l'opera. Dopo la sfida di Alfio, la scena è rimasta vuota.
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