Ma nella sostanza il drammetto del Fritz è ben diverso nel suo significato umano dalla tragedia della Cavalleria. Col Fritz il Mascagni è tornato, per non abbandonarli più, ai vecchi mannequins del teatro melodrammatico italiano. Questi personaggi non son mai come quelli della Cavalleria. Tra Suzel e Santuzza c'è lo stesso abisso che tra la vera poesia e la graziosa invenzione del romanzo ameno.
Musicalmente, ripeto, il Fritz è una continuazione dell'esplosività melodica della giovinezza musicale del Mascagni. Come noi vedremo a poco a poco, la scoperta della propria forma musicale dal Mascagni raggiunta nella Cavalleria, lo influenzò per il lungo periodo che va dalla Cavalleria all'Iris, nel quale spartito egli raggiunge la scoperta di un mondo di nuove formule stilistiche, quasi direi di un nuovo vocabolario personale, scoperta pur troppo resa vana, come è già dimostrato in altra parte, dal non essere generata di pari passo con la scoperta d'un nuovo contenuto maggiormente significativo. Pure tra il Fritz e le opere al Fritz posteriori, cioè i Rantzau, il Poema leopardiano e il Silvano (eccettuo il Ratcliff e lo Zanetto come opere, in cui il maestro ha potuto risentire con calore di vita l'espressione di quelle formule già sfruttate) corre un immenso divario: chè, rispetto alla pienezza espressiva della Cavalleria, quelle tre opere sono autoretorica nata dalla Cavalleria, mentre il Fritz è, come ho già detto, una continuazione della Cavalleria. Quindi, a parte la sciatteria di alcune sue parti, nel Fritz troviamo ancora delle cose incantevoli per freschezza e schiettezza.
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